IV (2008)

_SAGGI

Il breve saggio che pubblichiamo ha, tra i suoi obiettivi, quello di mettere in risalto la valenza filosofica del pensiero di Pareto e lo fa muovendo da una riflessione rapida, ma precisa, dei presupposti teorici della sua metodologia. Questa viene esaminata alla luce della disputa tra sostenitori del punto di vista illuministico e sostenitori dell’antiilluminismo, disputa che, dice l’autore, ha caratterizzato almeno in parte la filosofia europea dell’Ottocento e del Novecento. In questo quadro Angeloni ragiona sul fatto che, malgrado Pareto attribuisca grande valore all’utilizzo della matematica in campo sociologico, non accoglie le istanze del razionalismo, almeno di quello più estremo, e fa i conti con la realtà dell’irrazionale.

Il presente contributo ha come scopo immediato l’analisi del pensiero di Marco Vannini, nonché la messa in evidenza dei nodi teoretici e delle vere e proprie aporie a cui conduce l’itinerario mistico sviluppato in tutta la sua coerenza e condotto fino alle sue estreme conseguenze. Al riguardo è necessario partire dal suo ultimo volume, Tesi per una riforma religiosa, in cui il ricchissimo patrimonio della mistica speculativa viene rielaborato dall’autore in una chiave al tempo stesso storiografica e personale: nella convinzione che il tempo presente presenti i sintomi di una vera e propria malattia morale e comunitaria, decretati dalla fine della religione, Vannini non esita a dichiarare che l’unica via d’uscita è nel ritorno alla retta comprensione della mistica. È la mistica, infatti, a costituire il nucleo centrale e l’essenza autentica del cristianesimo; ed è ancora la mistica a costituire l’essenza più autentica della filosofia, che coincide dunque senza residui col cristianesimo.

    Paci e la fenomenologia del negativo 

di Raffaele Bruno

La fenomenologia del negativo, a vario titolo presente nella riflessione di E. Paci, è qui delineata nei suoi tratti essenziali: quelli dialettico-fenomenologici dell’ambivalenza, del paradosso, della contraddizione immanente, della compresenza dei contrari. Il problema del negativo è difatti problema fenomenologico per eccellenza: si tratta di pensare la struttura dell’esperienza senza ricorrere ad una logica già costituita ma risalendo, in un processo di riduzione trascendentale, alle sintesi originarie che definiscono le sfere dell’esistenza – della percezione, del corpo proprio, del bisogno, dell’agire intersoggettivo, del linguaggio, dei saperi scientifici, ecc. Come mostra la figura della speranza, l’esperienza, per poter essere, deve potersi presupporre non solo come ‘qualcosa’ di possibile, che in qualche modo ‘già c’è’, perché non avrebbe altrimenti di ‘che’ esperire, ma altresì come possibilità possibile, che come tale non è se non come limite critico. In questa differenza tra possibilità ‘reale’ e possibilità possibile, tra due limiti non solo negativi ma opposti, il senso radicale della fenomenologia di Paci, sia rispetto a Marx e a Bloch, sia rispetto a Hegel, a Croce e allo stesso Husserl.

Da più di un decennio, numerosi studiosi hanno indagato i caratteri della formazione scientifica di Leopardi e i rapporti di questa col resto del suo pensiero filosofico, letterario ed estetico. Tale formazione, infatti, è stata vasta e profonda – soprattutto, ma non solo, nel campo dell’astronomia, della fisica, della chimica, della storia naturale e della medicina – ed essa ha avuto notevoli ripercussioni nel pluriverso delle riflessioni del poeta-filosofo. Da ciò la necessità anche di una ricerca dettagliata e approfondita, innanzitutto di quali fossero le reali ricorrenze nelle opere leopardiane dei pensieri dei principali protagonisti dell’origine e degli sviluppi delle scienze moderne, in particolare di quelli di Galileo Galilei, per il ruolo che questi, come è noto, ha avuto nella scienza e nella cultura moderne. A partire da un recente libro di Gaspare Polizzi (“Galileo in Leopardi”) ciò ha consentito un ulteriore scavo sulle idee di Leopardi e sui rapporti conflittuali di queste nei riguardi di molti aspetti delle filosofie dei moderni.

Il saggio affronta la questione del rapporto tra poesia e dottrina nella Commedia, rispetto a cui la critica dantesca del secondo Novecento è rimasta impigliata, salvo rare eccezioni, in un singolare paradosso. Se da un lato ha difeso, contro Croce, il carattere unitario del poema, professando l’opportunità di non scindere nell’atto esegetico la valutazione estetica dell’opera dall’analisi dei concetti (filosofici, religiosi, morali ecc.) che vi sono implicati, dall’altro ha mostrato, nel passaggio dai principi ai fatti, ben poca propensione allo studio del pensiero filosofico dantesco. Fanno eccezione, in questo quadro, le esperienze storiografiche che a vario titolo e da varie prospettive si sono richiamate e si richiamano ancora oggi, nell’ispirazione di fondo, all’insegnamento di Bruno Nardi, che per oltre un cinquantennio – dal 1911, anno della tesi di laurea discussa a Lovanio su Sigieri di Brabante e le fonti della filosofia di Dante, fin quasi alla morte, avvenuta nel 1968 – svolse sul pensiero dell’Alighieri ricerche di fondamentale importanza, coniugando rigore filologico, erudizione, tensione speculativa. In rapporto di continuità con la lezione di Bruno Nardi – e dunque di sostanziale eterodossia rispetto alla tendenza generale delineata sopra – si pone ora il volume Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, titolo sotto il quale Giorgio Stabile ha raccolto una scelta di saggi dedicati, in un quarantennio di studi, a far emergere contro visioni più parziali l’intreccio, in Dante, di poesia, religione e scienza.

Quale contributo può offrire la tradizione filosofica italiana alla comprensione e all’approfondimento dei problemi della Wissenschaftslehre di Fichte? Lo studio della recezione italiana del pensiero di Fichte, con particolare attenzione alla figura di P. Carabellese, indica come alcune delle questioni che definiscono il contesto del pensiero carabellesiano (critica del concreto, oggetto puro di coscienza, autocoscienza, filosofia come sforzo e scoperta) aprano prospettive originali per una riflessione sulla funzione positiva che il confronto con il progetto filosofico-trascendentale fichtiano ha sugli sviluppi dell’ontologismo critico. Di converso si tratta di mostrare come lo studio dell’ontologismo critico consenta una riflessione non estrinseca sull’evoluzione del pensiero di Fichte, anche nella sua fase più matura. Dal punto di vista teorico, infine, l’approfondimento del rapporto fra Fichte e Carabellese si pone l’obiettivo di riproporre la questione circa le possibilità e i limiti della formazione di una ontologia su basi trascendentali.

Lo scritto di Roberto Frega, occasionato da un dialogo epistolare con Francesco Saverio Trincia, è una riflessione concernente alcune questioni di filosofia politica, in particolar modo quella della necessità o meno di ricorrere in questo ambito filosofico al concetto di fondazione stricto sensu. L’autore, che condivide molte argomentazioni di Trincia e che si è sentito fortemente sollecitato dalla proposta di questi di mettere il conflitto tra individui al centro dell’interesse politico, senza timore e senza la tentazione di esorcizzarlo, non condivide, invece, lo sforzo di dar conto mediante una fondazione filosofica della concezione liberale che a quella centralità tenga fermo. Nella disamina di Frega, il punto critico è rappresentato dal carattere di assolutezza che la fondazione filosofica fa valere. All’assoluto concepito in termini di struttura logico-universale, l’autore contrappone una “giustificazione razionale”, nel tentativo di soddisfare l’esigenza di sottrarsi al relativismo, ma anche di garantire alla teoria politica un aggancio storico che egli sente imprescindibile.

    Fichte in Italien

di Marco Ivaldo

Das Rezeptionsprozeß der Philosophie Fichtes in Italien könnte wie folgt zusammengefaßt werden. Nach einer Anfangsphase in der ersten Hälfte des neunzehnten Jahrhunderts (Pasquale Galluppi), ist seit der zweiten Hälfte des Jahrhunderts eine zweite Phase eingetreten, in der Fichte vom Standpunkt des Hegelschen bzw. Hegelianischen Vorbildes der Philosophiegeschichte aus rezipiert und ausgelegt worden ist (denkt man an Bertando Spaventa und Giovanni Gentile), auch wenn die Dominanz dieses Standpunkts nicht ohne bedeutende Ausnahmen geblieben ist (vgl. die Interpretationen von Pantaleo Carabellese und Pietro Martinetti). Das Nachlassen des sog. Neuidealismus und der Verfall des Hegelschen Entwicklungsschemas, samt der Selbstbehauptung anderer philosophischen Richtungen (Existenzphilosophie, Phänomenologie), haben dieser längeren Phase ein Ende gemacht und eine neue, dritte Phase erschlossen, die sich gegen die Mitte des zwanzigsten Jahrhunderts abzeichnete und besonders von der Absicht gekennzeichnet war, das Eigentümliche des Fichteschen Gedankengutes von den tradierten Schemata zu befreien und als solches zur Geltung zu bringen. Hierzu gehören die Interpretationen von Enrico Opocher, Arturo Massolo und Luigi Pareyson.  Als konsequente Entwicklung dieser Epoche kann die Blüte der Fichte-Forschung der letzten Jahrzehnten des vorigen Jahrhunderts eingeschätzt werden (siehe auch die Fichte-Studien von Pasquale Salvucci, Emanuele Severino, Aldo Masullo). Während dieser Zeit sind zahlreiche Studien und Übersetzungen durchgeführt worden, welche sich mit der ganzen Wissenschaftslehre und ihren Teildisziplinen (Ethik, Rechts- Religions- Geschichtsphilosophie, Ästhetik, Politik) beschäftigen. Claudio Cesa gilt als die prominente Figur dieser letzten Periode der Fichte-Forschung in Italien.

Intendo e pratico la filosofia essenzialmente come filosofia trascendentale. Kant e Fichte sono, in particolare, i due “classici” che presiedono a questo cammino di pensiero in quanto, ciascuno a suo modo, hanno scoperto e messo a tema il “campo trascendentale”, ovvero posto le basi di una nuova ontologia del sapere, costituito da una concezione pratico-teoretica della ragione. Mi sono progressivamente riconosciuto nella prospettiva e nel campo di ricerche della cosiddetta “Scuola di Monaco”, animata da Reinhard Lauth con la convinzione di fondo che Fichte, sulla scia di Kant e di Descartes, aveva messo a fuoco una idea di filosofia non ancora adeguatamente colta nella sua virtualità innovante e che – liberamente ripresa e creativamente svolta – avrebbe potuto condurre il pensiero a liberarsi dalle strettoie e dalle unilateralità delle nuove e risorgenti versioni del “dogmatismo”. Resta per me decisiva la lezione del mio maestro genovese Alberto Caracciolo, che ha enucleato una concezione dinamica e concreta dell’apriori di Kant, in particolare con la sua teoria delle “strutture” e dei “modi” della coscienza. Devo però anche riconoscere un debito nei confronti di Luigi Pareyson, alla sua idea della filosofia come “riflessione alla seconda potenza”, per la quale la filosofia non allarga l’ambito del nostro sapere di esperienza, ma lo fonda e lo spiega. La filosofia non può perciò direttamente vertere sull’assoluto o sull’essere, ma sempre soltanto sulla esperienza e auto-esperienza che l’uomo è e ha. Ma è soltanto in questa esperienza che possono darsi un reale rapporto e coscienza almeno implicita dell’assoluto o dell’essere, un reale trascendimento di sé o un esistenziale rapporto con la trascendenza, una reale apertura ontologica.

Lo studio di Gaspare Polizzi, di carattere sia storico che teoretico, dopo aver ricostruito il dibattito su Leopardi e Gramsci svoltosi negli anni Settanta, e in particolare la polemica tra Umberto Carpi e Sebastiano Timpanaro, individua e sviluppa tramite un attento esame testuale il tema, cruciale per entrambi i pensatori, delle caratteristiche della società, in particolare di quella italiana. In questo modo sarà possibile porre l’interrogativo tanto etico quanto politico se sia possibile una “vita felice” per l’umanità. Il saggio si conclude evidenziando divergenze e affinità nella direzione di una tensione etico-politica e di una scelta di stile.

Nello scorso dicembre è stata ricordata la figura e l’opera di Altiero Spinelli con un Convegno intitolato “Il Manifesto di Ventotene. Radici filosofiche e fondamenti culturali”. Il breve testo che qui presentiamo è una delle relazioni lette in quella occasione. Francesco Saverio Trincia traccia un profilo succinto ma non superficiale dei manoscritti del confino di Spinelli. Il padre del federalismo europeo appare come un pensatore reattivo a molti influssi filosofici e culturali ma sostanzialmente originale: fuoriuscita dal marxismo, bisogno della filosofia, scoperta della permanenza del normativo come strumento che dia ordine alla vita sociale, questi sono solo alcuni dei motivi d’interesse rintracciati da Trincia nei manoscritti. Soprattutto, però, emerge che la politica è da vedersi come una forma fondamentale della vita e della teoria, perché in essa vita spontanea e sua sistemazione intellettuale trovano un punto di sintesi.

Il saggio di Amedeo Vigorelli affronta un tema molto dibattuto, con l’intento di riprenderlo – a 70 anni dalla morte di Antonio Gramsci – per metterlo definitivamente in chiaro. Il tema è il rapporto di Gramsci con la filosofia italiana, più precisamente con quella di Croce e Gentile, rispetto alla quale il fondatore del partito comunista italiano è stato per lo più inteso come debitore. E’ proprio l’originalità di Gramsci che Vigorelli vuole far risaltare. Il suo discorso si svolge in polemico contrappunto soprattutto con l’interpretazione che Augusto Del Noce ha dato della gramsciana “filosofia della prassi”. L’autore indica i punti nei quali Gramsci si distingue da Gentile e da Croce e, dopo aver rimarcato la differenza, più brevemente riferisce la pars construens della sua filosofia, contenuta nell’undicesimo Quaderno e riguardante la natura e funzione del linguaggio e il rapporto tra filosofia e senso comune. Il lavoro di Vigorelli ha di mira la delineazione del profilo di Gramsci come di un «genio solitario … forse l’unico o certo il maggiore pensatore originale nel marxismo del novecento».

_INTERVISTE

    Filosofia e psicoanalisi: colloquio con Angela Ales Bello

a cura di Federica Buongiorno

L’intervista si propone di percorrere, con una importante studiosa italiana di fenomenologia, non estranea ad un interesse filosoficamente orientato verso la psicoanalisi, quale è Angela Ales Bello, alcune tematiche di confine tra filosofia e psicoanalisi, a partire dalla questione generale – filo conduttore dell’intero colloquio – della soggettività. Pur nell’evidenziazione delle importanti differenze teoriche caratterizzanti da un lato l’approccio filosofico e dall’altro quello psicoanalitico, si è tentato di riflettere attorno ai temi che filosofia (in particolar modo la fenomenologia husserliana) e pensiero freudiano hanno in comune, evidenziando alcune delle problematiche e dei possibili sviluppi, che la riflessione si ritrova ad affrontare allorché si impegna nel tentativo di costruire lo spazio per un dialogo ed un confronto critico tra filosofia e psicoanalisi

_RECENSIONI

    Valerio Verra, Su Hegel, Il Mulino, 2007

di Massimiliano Biscuso