VI (2010)

_SAGGI

Scopo del presente contributo – in parte anticipato dalla relazione tenuta al Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Filosofia (Istituto Banfi, Reggio Emilia 21-24 gennaio 2008) – è di mettere in discussione, o meglio, di integrare, ciò che in sede ermeneutica viene per lo più dato per scontato: ovvero, che a monte del noto “discorso temerario” svolto da Pareyson sul “male in Dio” ci siano, occupando un ruolo pressoché esclusivo – e, va da sé, escludente -, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana di Schelling; che esse, dunque, siano il reale punto di partenza e fonte unica d’ispirazione del discorso pareysoniano. Schelling è divenuto così l’indiscusso “nume tutelare” di un pensiero che, in tal modo, non solo viene inevitabilmente a perdere il suo vero tratto di originalità e novità, ma di cui, non secondariamente, viene sottaciuto un altro potentissimo – se pur certamente meno manifesto – influsso, quello di Karl Barth, in particolare le ricerche condotte da questi nel Römerbrief e nella sezione della Dogmatica dal titolo Dio e il Niente.

    Lo storicismo integrale di Eugenio Garin

di Massimiliano Biscuso

La pubblicazione del fascicolo monografico che il “Giornale critico della filosofia italiana” ha dedicato ad Eugenio Garin permette di ritornare su uno dei protagonisti più alti della cultura filosofica italiana, e non solo, del secolo scorso e insieme su due questioni centrali che al suo nome sono legate: quella della specificità della filosofia italiana rispetto alle altre filosofie nazionali, e quella della decisa e consapevole risoluzione della «filosofia» nel «sapere storico».

    Ricordo di Francesco Valentini

di Guido Coccoli

A un anno dalla scomparsa di Francesco Valentini, l’Autore coglie con questo saggio l’occasione di ricordare l’amico e, innanzitutto, il docente che con il suo insegnamento e il suo esempio ha contribuito grandemente a formare, nella Roma dagli anni settanta ai novanta del secolo appena passato, alcune generazioni di studiosi di filosofia.

I predestinati, Etica protestante e La scelta costituiscono le tre tappe di un organico e originale percorso teologico compiuto da Sergio Ristagno. Letti in successione, i tre libri si dispongono in armonia, perché sono attraversati da un comune movimento di pensiero, consistente nel ritrarsi dalle formule consolidate dell’etica teologica protestante, per ritornare a una “soglia iniziale”, intesa quale “stato fluido” in cui l’oggettività dei significati non si è ancora costituita. Rostagno esplicita questo suo modo di procedere, osservando che esso non dà luogo a una statica ripetizione di un unico motivo, ma si svolge come un “procedere ricorsivo”, attuantesi nei termini di una “dialettica senza sintesi”: tale movimento di pensiero viene qui visto in convergenza con quello tipico della fenomenologia.

    Una lettera di Bruno Nardi a Giovanni Gentile 

di Stefania Pietroforte

Il 19 ottobre 1938 Bruno Nardi scriveva a Giovanni Gentile la lettera qui riportata e commentata. L’occasione che spingeva Nardi a scrivere a Gentile era la partecipazione a un concorso universitario rispetto al quale Gentile gli aveva comunicato notizie poco confortanti, cioè che alcuni si opponevano alla sua candidatura sostenendo che non avesse i requisiti per una cattedra di filosofia. I punti focali della replica di Nardi sono essenzialmente due: l’affermazione di non essere un dantista e la rivendicazione della modernità del proprio studio. Il contributo ricostruisce nella loro genesi teorica questi due motivi, illuminando, a partire da essi, alcuni aspetti salienti del Nardi filosofo.

Lo schema d’interpretazione della presente analisi tratteggia la differenza delle concezioni dell’eudemonismo politico, da un lato, e del liberalismo, dall’altro. L’attribuzione della prima concezione alla filosofia politica del tardo assolutismo e della seconda all’epoca definita storicamente dalla rivoluzione francese e teoricamente dal pensiero politico di Kant si rivela solo limitatamente atta alla descrizione adeguata del discorso politico dell’illuminismo italiano. L’analisi delle letture di Rousseau da parte di Beccaria e Dalmazzo Francesco Vasco dimostra un precoce profilarsi del pensiero della libertà rispetto al discorso utilitaristico sulla felicità il quale, in genere, viene inteso come caratteristico della filosofia politica dell’illuminismo. Le due concezioni non solo non si escludono, ma risultano persino teoricamente intrecciate una con l’altra. In Beccaria, questo intreccio trova la sua espressione nel cosiddetto utilitarismo che trasforma la formula della maggiore felicità possibile in quella del minimo dei mali. In ultima analisi, l’utilitarismo negativo è però la negazione dell’utilitarismo, ovvero la sua trasformazione nel principio della massima libertà possibile. L’antidispotismo risoluto di Beccaria, Vasco e Paradisi conduce, infine, a una relativizzazione dell’eudemonismo politico. Con i succitati pensatori che radicalizzano il concetto di libertà del contrattualismo rousseauiano la filosofia politica italiana dell’illuminismo viene a essere una delle precoci protagoniste dello stato di diritto liberale.

L’articolo prende in esame tre testi pedagogici – ora a stampa -, che si collocano, i primi due, immediatamente a monte della presa di servizio di Labriola come direttore del Museo d’istruzione e di educazione (1877); e il terzo, già nel clima delle risonanti iniziative per la riforma delle “Lauree in filosofia” e della parallela, impegnativa riflessione su I problemi della filosofia della storia (1887), nonché di scelte politiche in senso sempre più progressista e radicale, all’indomani del non riuscito tentativo di Labriola di esporsi in prima persona nel Collegio di Perugia, in occasione delle elezioni generali del 1886. Testi “tecnici”, da situare pertanto nel quadro della complessiva esperienza biografica, filosofica, pedagogica, didattica dell’autore. E tuttavia da collegare organicamente alla prospettiva di una politica culturale e politica tout court, che viene a spianare in Labriola la strada a dimensioni ideali e ideologiche di ben altro segno, rispetto a quelle “rivoluzionarie” in senso soltanto “risorgimentale”, “liberale” e “moderato” degli anni precedenti.

_INTERVISTE

    Die Philosophie der italienischen Aufklärung. Interview mit Wolfgang Rother

a cura di Federica Buongiorno ed Emanuela Giacca

L’autore si misura con la questione del revisionismo storico discutendo il volume di Di Rienzo Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica. Si obietta a Di Rienzo che la debolezza di alcuni non può invalidare gli ideali dell’antifascismo, cioè di quella molteplicità di forze e culture che si trovò riunita a difendere, contro il regime fascista, la libertà che incarnava per esse l’idea di nazione. Questa idea, invece, era diversamente concepita da chi, come Gioacchino Volpe, ne propugnava la valenza naturalistico-vitalistica. La vicenda del grande storico, considerata alla luce delle sue convinzioni storiografiche più profonde, è più un esempio di inattualità che non di “persecuzione”.

_RECENSIONI

    Remo Bodei, La vita delle cose, Laterza, 2009

di Stefania Pietroforte